Intervista ad Albertina Soliani al ritorno dalla Birmania

Quali sono le principali sfide che sta attraversando la giovane democrazia birmana, e cosa può insegnare alle nostre democrazie europee?

Ho seguito la vicenda politica politica della Birmania negli ultimi 12 anni, costituendo l’Associazione dei Parlamentari Amici della Birmania quando Aung San Suu Kyi era ancora agli arresti domiciliari. Ho partecipato all’impegno per la liberazione sua e dei prigionieri politici, l’ho incontrata dal 2013 in poi diverse volte, abbiamo organizzato la sua visita in Italia a Parma e l’abbiamo sostenuta nella lunga campagna elettorale del 2015. In tutti questi anni Giuseppe Malpeli, mio amico e collaboratore, ha lavorato intensamente per l’amicizia con il popolo birmano e per la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia. Giuseppe è mancato una settimana prima del voto che ha determinato la svolta politica in Birmania. L’8 novembre 2015 il popolo ha scelto con una grande maggioranza i candidati al parlamento della NLD.

Da allora la Birmania sta vivendo l’inizio della democrazia, in una transizione che vede ancora un grande potere dei militari sancito dalla Costituzione da loro voluta. Solo all’inizio dell’aprile 2016 Aung San Suu Kyi ha potuto eleggere un presidente democratico, Htin Kyaw, suo fedele amico – poiché la Costituzione le impedisce di assumere questa carica in quanto sposata con uno straniero – mentre lei è diventata Ministro degli Esteri. Successivamente, con una legge votata dal Parlamento, è diventata anche Consigliere di Stato, di fatto Primo Ministro. Questa norma è stata studiata da U Ko Ni, il suo braccio destro per i problemi costituzionali, ucciso all’aereoporto di Yangon il 29 gennaio scorso. Come si vede la violenza politica è sempre in agguato.

Da poco più di un anno, dunque, Aung San Suu Kyi guida di fatto il suo Paese. Le sfide sono enormi: l’unità del Myanmar, la riconciliazione e la pace, essendo in atto conflitti armati tra le etnie e l’esercito, compresa la situazione dei mussulmani nello Stato Rakhine, che in questi mesi è all’attenzione internazionale. Aung San Suu Kyi sta lavorando per una Repubblica federale che rispetti le autonomie. Dalla fine di agosto 2016 ha convocato periodicamente la Conferenza di pace di Panglong, quella del XXI secolo. La prima era stata convocata da suo padre, Aung San, nel 1947, poco prima di essere ucciso, per creare l’unità della Birmania e delle sue 135 etnie nel momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna. Aung San Suu Kyi ha messo in moto l’economia, con leggi che favoriscono gli investimenti stranieri, ha avviato politiche per la scuola e la sanità, ha liberato i prigionieri politici, ma i militari ancora arrestano giornalisti. Sta portando la Birmania nel mondo intensificando i rapporti con i Paesi del Sud-est asiatico (ASEAN), l’Unione Europea, il Nord America. Ha uno speciale rapporto con la Cina, loro vicino di casa, che ha di recente proposto l’iniziativa Belt and Road per lo sviluppo dei rapporti tra Asia ed Europa. La Birmania per la Cina è il corridoio verso l’Oceano Indiano. Altri partner economici sono oggi il Giappone, la Corea del Sud, l’India. Intensi sono i rapporti con l’italia e con il Premier Gentiloni, secondo Ministro degli Esteri, dopo quello cinese, ad incontrarla appena insediata il 6 aprile dell’anno scorso.

Una democrazia agli albori quella in Birmania, carica di una grande speranza nel futuro, nonostante i rischi e i problemi. Se guardo oggi la Birmania intuisco il futuro dell’Asia e del mondo, con la loro gioventù in primo piano (40%). Questo ci insegna la democrazia birmana: la democrazia come strumento di cambiamento e di progresso per il futuro del mondo, come superamento della sofferenza e della violenza, come passione di milioni di cittadini per la vita della loro comunità. Una iniezione di vitalità per le nostre democrazie europee stanche e invecchiate, disilluse e impaurite.

Quali sono i progetti in cui è impegnata insieme con l’Associazione per l’Amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli, anche alla luce degli ultimi viaggi compiuti in Birmania?

Ormai frequento la Birmania con l’anima e con la vita. Quando Aung San Suu Kyi è venuta a Roma nel maggio scorso mi ha detto: “Quando torni?”. E così sono andata alla fine di giugno e l’ho incontrata a Naypyidaw. Erano con me Virginia King, amica birmana che vive in Italia, e Alberto Brunazzi, giovane avvocato dell’Associazione per l’Amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli. Il nostro rapporto di amicizia, iniziato nella riservatezza parecchi anni fa, è oggi molto intenso. Ogni anno andiamo con un viaggio collettivo, ma ormai vado sempre più frequentemente per seguire anche progetti di collaborazione. Stiamo lavorando con ASeS (Agricoltori, Solidarietà e Sviluppo) della CIA – Confederazione Italiana Agricoltori-, anche come Istituto Cervi, per sostenere un gruppo di contadini di Mandalay che lavorano ancora con l’aratro e sono senza elettricità. Abbiamo accordi con l’Università di Yangon e il Ministero della Sanità per un progetto relativo a una banca dati sui bisogni sanitari di cui è partner Cineca di Bologna. Abbiamo rapporti con il Centro delle Cure palliative dell’ospedale di Yangon e con la GP Society, la rete spontanea dei medici di base, per progetti di collaborazione. Abbiamo scambi con le scuole, ad esempio la scuola Lumbini di Yangon, in dialogo con le scuole di Parma e di Reggio Emilia e con l’Università di Modena e Reggio Emilia. Apriamo anche la strada a imprese che vogliano investire in Birmania. Lo scorso anno abbiamo ospitato Ye Ko Naing che ha fatto un corso alla scuola di cucina internazionale Alma di Colorno provenendo da HCTA, la scuola di cucina fondata da Aung San Suu Kyi.

Nell’ultimo incontro a casa di Aung San Suu Kyi a Naypyidaw, il 30 giugno scorso, abbiamo parlato di molte cose. Della conferenza di pace e delle leggi per impedire i conflitti etnici e religiosi, ma ha detto chiaramente che ci vorrebbe una legge sull’amore, cosa impossibile. In realtà pensa che le persone dovrebbero esprimere sentimenti positivi, abbandonando atteggiamenti negativi degli uni verso gli altri. Credo che tutta l’azione di Aung San Suu Kyi prenda forza dalla sua grande energia spirituale. Nell’ultimo viaggio mi ha mandato a vedere due fabbriche dismesse, ferme da anni. Una a Yangon, di vetro soffiato, che ha cumuli di oggetti di vetro tra gli alberi e che lei vuole rimettere in piedi come simbolo della rinascita della Birmania. L’altra, di lastre di vetro, è a Pathein e attende di ripartire. Ho parlato con i dirigenti della fabbrica di Pathein, ci sono più di 300 operai in attesa. Quando ci siamo viste lei ha voluto sapere e mi ha affidato la ripresa dell’attività di queste due fabbriche. Pensa al talento italiano. E poi mi ha detto: “Torna presto, e a Yangon segui i lavori della fabbrica.“

Ecco che cosa significa la fiducia e l’amicizia in un tempo nel quale il Paese sta di nuovo rinascendo. Aung San Suu Kyi ha mille sfide, l’ho trovata molto attiva e creativa per rimettere in strada la Birmania. Quando sono là, quando la incontro penso alla nostra democrazia, alla bellezza dell’Italia che il mondo cerca, alla forza dei birmani che hanno di fronte a sé il sogno democratico, mentre noi sembriamo averlo alle spalle. Per Aung San Suu Kyi la politica prende in mano la sofferenza del suo popolo, qui da noi questa dimensione non è così percepibile. La visione, l’entusiasmo per la ricostruzione, la fiducia di molti che il cambiamento è possibile, che la violenza può finire. Questa è la situazione della Birmania oggi, nonostante le difficoltà e i rischi ancora evidenti. Le circostanze della vita e della politica mi hanno condotto ad incontrare questa storia, di cui ormai mi sento parte. Penso del resto che il mondo è uno e che tutti siamo vicini.

Se penso alla vicenda dei Cervi a Gattatico, so che il mappamondo era il loro territorio e che i testimoni della libertà erano di casa qui, da qualunque parte della terra provenissero. Sulla torre metereologica di Arpa, a pochi metri da Casa Cervi, nel 2007 alcuni giovani hanno disegnato i volti delle persone del mondo da cui traevano ispirazione. Tra questi vi è il volto di Aung San Suu Kyi. Così Aung San Suu Kyi appartiene al mondo ed è di casa anche tra noi. Lo ha detto accogliendo a casa sua a Naypyidaw nel dicembre scorso la quarantina di amici dell’Associazione in visita da lei: “Questa è casa vostra, poiché mi sono sentita a casa da voi a Parma”. Sto vivendo l’esperienza straordinaria di una politica che si fa amicizia e viceversa. Un dono straordinario della vita. Insieme, sotto braccio, le ho chiesto della Rosa Aung San Suu Kyi, di recente fatta crescere in Cina nella regione dello Yunnan, ai confini con la Birmania. Mi ha accompagnato a vederla, una piccola rosa rossa che può mettere tra i capelli. Una grande storia di dolore, una grande storia di vita, una grande storia di democrazia che è appena cominciata. Una storia che appartiene anche a noi.

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