Intervista a Mariano Dammacco > Sotto la grande quercia

Blog a cura di Raffaella Ilari con approfondimenti e interviste agli organizzatori, agli ospiti e al pubblico del 16° Festival di Resistenza.

L’Esilio di un omino che insegna a non arrenderci mai

Intervista a Mariano Dammacco

È una memoria del presente quella che la Piccola Compagnia Dammacco ci offre in “Esilio”, scritto e diretto da Mariano Dammacco, anche in scena insieme a Serena Balivo, quarto spettacolo in concorso al Festival Teatrale di Resistenza. È la memoria di un presente che ci racconta di ciò che la perdita di lavoro può generare nella vita di un uomo e di come questo tenti di uscirne, in modo goffo, tragico e poeticamente umano.
Un teatro etico, d’autore e d’attore quello che il pugliese Mariano Dammacco, modenese di adozione, città dove ha sede la Compagnia, porta avanti da vent’anni, ma allo stesso tempo un teatro accessibile a tutti per contenuti e linguaggi, nel suo cercare un dialogo costante con il pubblico.

Di cosa parla Esilio e chi è il suo protagonista?
Il protagonista di “Esilio” è un uomo, un omino, al quale accade qualcosa nella sua vicenda personale ovvero perde il posto di lavoro. Quello che nello spettacolo racconta forse è anche qualcosa di più perché, attraverso la crisi che nasce nella vita di quest’uomo, le domande a cui è costretto a porsi e le azioni a cui è costretto finalmente a compiere per capire come è finito in una situazione così deprecabile, dove con la perdita del lavoro perde anche il suo ruolo nella società, inizia a farsi delle domande su tutto quello che si muove intorno a lui.

Perché l’esilio e chi lo compie?
Il primo esilio è l’assunto di partenza o della prima parte dello spettacolo ossia quello di un individuo dal contesto sociale. In realtà in scena non c’è solo l’omino ma anche la sua anima. Perché, e lo lasciamo sfumato per non rivelare il finale dello spettacolo, c’è forse anche un altro esilio. Se l’anima è lì, è perchè in esilio dalla pelle dell’uomo, protagonista della storia.

Il tema della perdita del lavoro viene affrontato utilizzando un linguaggio umoristico e surreale. Come mai questa scelta?
L’umorismo come l’allegoria, linguaggi della Piccola Compagnia, ci aiutano nelle nostre intenzioni, nel nostro percorso, a creare figure e accadimenti emblematici che, con leggerezza, possono svelare dei significati complessi, articolati rispetto al tema dello spettacolo. Inoltre, dovendo raccontare una tragedia, è chiaro che si può sconfinare in quello che è apparentemente il suo opposto, quindi l’umorismo o addirittura, a tratti, la comicità. Sono molti anni ormai in cui provo a raffinare e a compiere sempre più una mia lingua poetica, drammaturgica, scenica con creature non naturalistiche che abitano lo spazio del palcoscenico.

Come hai affrontato il tema del lavoro nel tempo della scrittura?
Cercando di offrire agli spettatori uno squarcio all’interno dell’individuo e quindi creando una sorta di caleidoscopio delle emozioni, di tutti i colori e tipi, che si susseguono all’interno di una persona finita in una tale situazione che si protrae e sembra non avere soluzione. Non lavorando quindi su una rivendicazione politica o su dati economici o reali ma cercando di utilizzare gli strumenti del teatro e della poesia per offrire il dolore dell’uomo in esilio dalla sua comunità.

Cosa intendi per ‘memoria del presente’?
Penso alla trasfigurazione di ciò che viviamo oggi e quindi a un segno fatto con la grafia della drammaturgia, con il lavoro d’attore, con il teatro, che resti un segno dell’oggi per parlare tra noi e perché ci sia la possibilità di leggere, di andare a teatro a vedere spettacoli che parlino oggi dell’oggi, se pure mediati dai linguaggi teatrali, dalle tecniche delle varie arti della scena.
Rispetto al contesto in cui saremo in scena, il Museo Cervi, ne siamo molto felici. Il personaggio, l’omino, il protagonista di “Esilio”, in questo primo anno di vita di tournée dello spettacolo, è stato molto benvoluto dagli spettatori, al di là dell’apprezzamento per lo spettacolo e per il lavoro di Serena Balivo, en travesti in scena. In un’occasione, dopo lo spettacolo, uno spettatore cercava Serena perchè voleva abbracciare l’omino. L’omino è un ‘campione di resistenza’, perché davanti al peggiore dei mondi possibili, davanti ad una situazione storica impersonale e tremenda, senza vie d’uscita, si fa domande, non si arrende. Ci mostra che più c’è ombra, nel mondo storico e nei percorsi individuali, più è importante avere in mente la resistenza, l’agire e il non arrendersi mai. Mai.

Il vostro è un teatro d’arte e d’autore accessibile a tutti. Quanto hai pensato allo spettatore scrivendo questo testo e cosa il pubblico si deve aspettare da questo incontro?
Mi piace pensare che lo spettatore possa venire a vedere “Esilio” come se venisse a vedere un sogno. Come diceva Luis Buñuel quando c’è il buio in sala prima dello spettacolo è come chiudere gli occhi, abbandonarsi al sonno per poi entrare nel sogno.
Lo spettatore è un interlocutore da sempre nel lavoro della Piccola Compagnia Dammacco perché il lavoro di preparazione è un lavoro di preparazione della drammaturgia fatto pensando che si sta parlando a qualcuno. Ho sentito dire che la poesia dà ‘del tu’ al lettore. Mi piace pensare che anche il teatro possa cercare un’interlocuzione diretta con lo spettatore.
Il pensiero dello spettatore ci porta a cercare di comporre una stratificazione di segni, sensi, parole, immagini, pezzi di narrazione o di riflessione utili a poter parlare a chiunque. La nostra azione deve preparare ad un lavoro che deve parlare ad ogni persona. E quindi a ogni spettatore.

“Esilio” è la seconda tappa della “Trilogia della Fine del Mondo”. Dove è iniziata e dove condurrà?
Il primo passo è stato lo spettacolo “L’ultima notte di Antonio” nel 2012, mentre il terzo passo è in programma per il 2018 con la realizzazione dello spettacolo “La buona educazione” che racconterà una storia che ci offrirà delle domande su quali sono i contenuti, i valori, le regole pratiche di vita che oggi un individuo passa all’altro, soprattutto in Occidente, e quindi di riflesso su quale idea ci siamo fatti del mondo oggi e di come essere attrezzati per affrontarla.

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