Un tesoro di Museo — Gli oggetti del Museo di Casa Cervi

Un tesoro di Museo è il nuovo progetto dedicato alla valorizzazione di alcuni oggetti esposti nel percorso di visita del Museo di Casa Cervi e delle collezioni a cui appartengono.

Come ogni museo, quello di Casa Cervi racconta la sua storia attraverso il proprio patrimonio: documenti, oggetti, arredi appartenuti alla Famiglia Cervi e opere d’arte, veri e propri scrigni di memoria. Questi elementi ampliano la comprensione della storia della famiglia, del contesto storico e delle memorie ad esso legate, creando un ponte con il presente. Alcune collezioni, in particolare quella artistica, continuano infatti ad arricchirsi grazie alle opere di artisti e artiste contemporanei.

Il riallestimento delle sale del Museo, avvenuto nel 2021, ha evidenziato come alcuni di questi oggetti abbiano storie e significati particolari, ma siano anche capaci di evocare temi universali, stimolando connessioni con l’attualità, curiosità e approfondimenti. Un tesoro di Museo si propone di mettere in luce proprio queste storie e connessioni, valorizzando gli oggetti e isolandoli, per un attimo, dal flusso della narrazione. 

Da febbraio ad agosto 2025, ogni mese avrà un suo oggetto simbolico, scelto in relazione a una data del calendario civile, a una stagione o a un evento particolare. Ogni oggetto ‘del mese’  sarà contrassegnato da un mazzo di papaveri e spighe di grano: nell’80° anniversario della Liberazione, non potevamo che scegliere il papavero, simbolo della Resistenza e del sacrificio di migliaia di partigiani e partigiane in Italia.

I visitatori potranno così conoscere più da vicino il patrimonio materiale del Museo, non solo come luogo di memoria collettiva, ma anche come spazio in cui riscoprire pezzi della propria storia. 

L’aratro è l’attrezzo della terra per eccellenza.
Nato in tempi remoti dallo sviluppo della zappa, serve per dissodare e rivoltare la terra, preparandola alla semina o ad altre lavorazioni.
La sua efficacia dipende dal tipo di costruzione e, soprattutto, dal tipo di terreno da lavorare e coltivare: può essere pesante o soffice, sassoso, argilloso, sabbioso, profondo o scarso. Di conseguenza, anche l’aratro può essere grande o piccolo, massiccio e pesante oppure leggero.

Lo sapevano bene i Cervi, che la terra l’avevano lavorata, ma anche studiata da sempre, ancor prima di arrivare ai Campirossi.
Quando si stabiliscono in questo podere, possiedono tre aratri: dal più vecchio in legno al più recente in ferro. Con lo sguardo sempre rivolto al nuovo, interpreti di una nuova scienza contadina, anche attraverso l’utilizzo dell’aratro guardano con curiosità e interesse all’evoluzione delle tecniche agricole.
Sono consapevoli che anche da lì passa il miglioramento delle condizioni del lavoro e della vita – la loro e quella di tanti altri.
Con questo spirito, sostituiscono agli animali da tiro un trattore acquistato nuovo di zecca. Perché la terra è bella, è vita, ma è anche fatica immane e disumana.

Camminando lungo il percorso di visita, ne trovi due esposti nella Sala 3: alla tua destra il più recente, in ferro, e poco più avanti, sempre sulla destra, il più antico, in legno.

Tra gli oggetti che raccontano l’attività contadina della Famiglia Cervi, spicca il carretto del latte, simbolo della vita rurale e del lavoro quotidiano nei campi, situato nella Sala 3 del Museo, l’antica stalla della Famiglia.

Attrezzo del lavoro per eccellenza legato ai mestieri della stalla, il carretto serviva per trasportare il latte al casello dove veniva poi lavorato per la trasformazione in formaggio. Come in tutte le famiglie contadine, anche per i Cervi la stalla rappresentava il cuore pulsante dell’economia domestica. La stalla custodiva il vero patrimonio della famiglia: le mucche, fonte di latte, alimento fondamentale per la sopravvivenza e per l’economia contadina. Proprio dal latte si ricavava il formaggio che i Cervi portarono con sé in Appennino, come riserva di sostentamento durante la loro breve parentesi partigiana.

Quando le condizioni lo permettevano, i Cervi praticavano la rotazione delle colture per favorire la produzione di foraggio e accrescere il numero degli animali nella stalla. Ma la stalla era molto più di un semplice spazio agricolo: era il cuore pulsante della vita familiare, il luogo della socialità, dell’incontro con il mondo esterno. Qui si incrociavano i destini delle famiglie contadine della zona, passavano i teatri ambulanti e resistenti, come quello dei Sarzi, e trovavano rifugio gli antifascisti.

In questo scenario, il carretto del latte — che trovava naturalmente posto accanto alla stalla — diventava un ponte tra mondi. Fu proprio durante una consegna di latte, al casello di Campegine, che Antenore Cervi incontrò Margherita Agoleti. Da quell’incontro, favorito dal carretto, nacque un amore. E dal loro matrimonio nacquero Maria, Ennio e Luigi.

Maria era la più grande tra i nipoti di Genoeffa e Alcide. Insieme al nonno, seguirà da vicino le tappe fondamentali della trasformazione della casa in un luogo della memoria.

Così il carretto del latte ci parla ancora di tante cose: del lavoro, della vita contadina, dello spirito antifascista dei Cervi e di tante altre famiglie, dell’impegno per migliorare le condizioni di vita. Ci racconta una nuova visione del mondo, fondata sulla dignità del lavoro e sul progresso sociale.

Del resto, proprio il lavoro – come diritto e come espressione della dignità umana – è alla base della nostra Costituzione. Della nostra Repubblica.

Appena si entra nel Museo Cervi e si getta uno sguardo a sinistra, all’interno di quella che un tempo era la stalla della casa contadina dei Cervi, oggi terza sala del percorso di visita, si scorge un oggetto davvero particolare: il mappamondo. Protetto da una teca per esigenze espositive e per preservarlo dagli agenti atmosferici, il mappamondo è diventato uno degli oggetti simbolo del Museo, insieme al trattore su cui era originariamente collocato quando arrivò a casa Cervi.

Le memorie familiari e le testimonianze dell’epoca raccontano che, nel 1939, quando la famiglia acquistò il trattore, un acquisto significativo per dei contadini, il rivenditore offrì come omaggio la possibilità di scegliere un oggetto fra quelli esposti. Fu così che il mappamondo giunse a Casa Cervi, a simboleggiare un percorso di emancipazione e innovazione.

Questo mappamondo, infatti, rappresentava il cammino della Famiglia Cervi, che stava cercando di raggiungere una maggiore autonomia produttiva nella gestione del podere, e allo stesso tempo si impegnava a diffondere un pensiero antifascista, opponendosi al conformismo ideologico del tempo. In un’epoca in cui il mondo sembrava erigersi in barriere fisiche e ideologiche, il mappamondo abbatté questi muri, guardando a un futuro di libertà e di ponti tra popoli e culture.

Il Mappamondo, però, non è solo un oggetto appartenente alla Famiglia Cervi. Esso rappresenta un vero e proprio ponte tra il passato e il presente, un simbolo che ancora oggi dialoga con i pensieri che animarono quelle vicende storiche. Lo si ritrova in vari punti del percorso di visita: nei riflessi della Quadrisfera, nella Biblioteca per ragazzi “Il Mappamondo“, e in molte delle opere esposte.

Nella Sala 1 del Museo di Casa Cervi si trova il grande proiettore che venne utilizzato il 17 febbraio 1968 al Teatro Municipale di Reggio Emilia (oggi Teatro Valli) per la proiezione del film I Sette Fratelli Cervi, diretto da Gianni Puccini. Il film ebbe un enorme successo e fu fondamentale per far conoscere la storia della Famiglia Cervi al grande pubblico italiano e internazionale.

Il proiettore è un oggetto imponente e affascinante, che ci ricorda come il cinema sia stato un veicolo importante per diffondere i messaggi e i valori della Resistenza italiana, anticipando la ricerca storica e supplendo in alcuni periodi al silenzio delle stesse istituzioni nazionali.

Il proiettore – di marca Fedi – apparteneva alla ditta Brenno Miselli, installatori di macchinari per la proiezione, e si trovava a Reggio Emilia. È stato donato al Museo Cervi da Mario Ferretti, per anni operatore cinematografico presso il Comune di Reggio Emilia, che lo ebbe in dono dallo stesso Brenno Miselli nel 2008, al momento della chiusura della ditta Miselli.

Il film I Sette Fratelli Cervi di Gianni Puccini, con Gianni Amelio come aiuto regista, rappresenta una delle opere più significative del cinema sulla Resistenza. Interpretato da attori di rilievo come Gian Maria Volonté, Carla Gravina, Riccardo Cucciolla e Lisa Gastoni, il film è tuttora riproposto dalle reti televisive. Alcune scene del film sono visibili nella Quadrisfera, la grande installazione multimediale che dal 2005 è inserita all’interno del percorso del Museo di Casa Cervi.

All’interno del Museo, in Sala 3, è presente il grande telaio. Attrezzo fondamentale dell’economia contadina e in particolare del lavoro delle donne, il telaio si trovava generalmente nella stalla, dove veniva utilizzato nei mesi invernali, fino ai primi mesi della primavera.

Con il telaio si produceva tutto l’abbigliamento necessario, insieme a biancheria, corde e sacchi, utilizzando prevalentemente la canapa, coltivata direttamente dai contadini. Anche i Cervi la coltivavano, seguendo tutte le fasi di lavorazione, compresa la macerazione.

La tessitura, fase finale del ciclo della canapa, era un’attività svolta soprattutto dalle donne. Durante l’inverno, nella stalla riscaldata dagli animali, il suono del telaio accompagnava momenti di vita familiare, tra racconti, giochi e, a Casa Cervi, anche letture. Genoeffa Cocconi, madre dei fratelli Cervi, organizzava le attività della tessitura: sapeva filare, ordire, leggere e raccontare le fole, tessendo non solo stoffe, ma anche relazioni all’interno della famiglia.

A differenza di altri strumenti di lavoro esposti, il telaio non è l’originale appartenuto alla famiglia, ma un modello identico. L’originale è stato distrutto nell’incendio del 25 novembre 1943, appiccato dai fascisti per catturare i Cervi e la loro banda di primi resistenti.

M’Illumino di Meno 2025
UN ANTICO FILO RESISTENTE
LA CANAPA SOSTENIBILE A CASA CERVI

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