L’EUROPA È ADESSO

Sono le decisioni democratiche a porci di fronte alle prove più difficili. Così è anche nel caso dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, che si consuma in queste ore, dove una maggioranza di misura, frammentata nelle provenienze e nelle generazioni, consegna una delle nazioni più potenti al mondo ad un’incognita senza precedenti nel corso della storia recente. Dal 1951 il progetto di unificazione europea aveva marciato in un solo senso, passando da 6 a 28 popoli. Fino ad oggi: per la prima volta, un grande paese, di certo il più influente negli ultimi tre secoli, ha deciso di riavvolgere il nastro del progresso politico, di cambiare senso al corso della storia, in nome di una dichiarata “indipendenza”. Uno stato multietnico, multiculturale, globale nella sua stessa identità che sceglie di ripercorrere a ritroso il pensiero occidentale, riscoprendo un’idea di “destino della nazione” che forse non ha mai abbandonato il Vecchio Continente.

Mentre le preoccupazioni di governi, classi dirigenti, centri di interesse si concentrano sulle conseguenze economiche di questo evento, occorre segnalare che il dato è tutto politico. Civile, sociale e culturale. Insomma storico in tutto e per tutto. Se ne va dall’Europa politica un membro che non aveva partecipato alla fondazione dell’Unione, aderendo solo nel 1973, ma alla cui idea di Europa aveva dato contributi irrinunciabili. Sono nati in Gran Bretagna molti degli assetti istituzionali, delle dottrine politiche, delle conquiste sociali, che fanno parte del codice genetico della civiltà europea. Non solo il liberalismo, la tutela dell’individuo, il capitalismo avanzato, ma anche i sindacati, il welfare, la forma cooperativa del lavoro. E tra i padri fondatori dell’Unione Europea, secondo il sito ufficiale della UE, si annovera Winston Churchill: perché al di là delle adesioni formali, l’idea di Europa nasce da una coraggiosa utopia sulle ceneri delle due guerre mondiali, nasce da onerosissime vittorie sul campo e da una sconfitta lacerante dell’Europa dei nazionalismi. Non è retorica, in una giornata come oggi e ad urne ancora calde, ricordare da quale necessità civile e storica sorgesse la via dell’integrazione europea 70 anni fa. Da quale cumulo di sofferenze, macerie, prostrazione morale sia resuscitata la dignità del nostro continente.

Immaginare oggi un’Europa (prima ancora che un’Unione Europea) senza il Regno Unito, è impossibile. Ma dovrà essere un esercizio in cui cimentarsi, perché il verdetto è di quelli che colloca la società britannica fuori dalla storia. La durezza di molte reazioni, prima fra tutte quelle del presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, è nelle cose. La macchina europea è un organismo paralizzato da difetti gravi, da contraddizioni che fino ad ora nessuno ha avuto il coraggio di sanare. Hanno sempre prevalso gli egoismi nazionali che almeno la Gran Bretagna non ha mai nascosto. Ora l’ambiguità di una posizione privilegiata che il Regno Unito aveva mantenuto nei decenni è stata risolta nel modo più drammatico. Senz’altro chiaro, però. Si potrà dire altrettanto delle altre anime centrifughe ed egocentriche degli stati membri? Ipocrisie che hanno zavorrato il progetto europeo non meno dello storico euroscetticismo inglese, fino ad un passo dal baratro.

Oggi questo passo è tutto nelle mani delle forze che si vogliono definire europeiste. Delle istituzioni sovrane a tutti i livelli, delle grandi tradizioni politiche del continente, delle forze sociali responsabili, del vorace sistema finanziario che continua a prevalere su qualunque progetto etico. Oggi la responsabilità di questo ultimo fatale passo non è nelle sigle più eurofobe, estremiste e populiste, ma a disposizione di tutti i veri europei. Il tempo è arrivato, titolava il Times ieri mattina all’apertura delle urne, e il tempo è arrivato davvero per questa generazione di cittadini che devono decidere di quale “polis” essere parte. Non è più tempo per le attese tattiche, le ambiguità complici, i balletti in favore delle lobbies: o si rifonda l’Europa, oggi mutilata ma defibrillata, o il popolo britannico sarà il primo ad aver vinto la scommessa.

Sembra dalla prima analisi del voto che i giovani cittadini del Regno unito abbiano votato in grande maggioranza in favore dell’Europa. E hanno perso, rispetto all’Inghilterra meno cosmopolita ed urbana, più vecchia e spaurita. Se questa generazione di giovani europei aveva bisogno di una battaglia da combattere nel proprio tempo, di una prospettiva di lotta per il progresso dell’umanità, eccola qui servita. E’ questa l’ora. E’ questa la contesa. Ed è il futuro di alcuni dei più cari valori universali la posta, niente di meno. La giustizia sociale, la solidarietà, la cooperazione, l’uguaglianza tra i popoli e le culture. I ponti che campeggiano su ogni banconota dell’euro, per i quali le sponde inglesi sono sempre state troppo lontane.

E’ una contesa decisiva. E tocca a questa generazione ingaggiarla. Così come toccò alla generazione di europei di 70 anni fa, come i fratelli Cervi, guardare in alto, dall’abisso più nero della storia umana, e vedere l’unica via d’uscita.

Per questo Casa Cervi sarà sempre un buon posto da cui ricominciare questa rincorsa verso il futuro. E in cui ritornare. Oggi il mappamondo dei Cervi sembra meno grande del solito, ma i confini che vi sono tracciati sono già storia passata. Lavoriamo insieme per varcare quelle barriere che credevamo abbattute per sempre, e che invece ci richiamano alla responsabilità costante sui valori conquistati dalla rinascita democratica del mondo intero. Cominciata 70 anni fa, anche grazie a tanti giovani inglesi che forse oggi non avrebbero scelto di lasciare quel continente e quel tipo di libertà costati tanto sangue e tante lacrime.

Mirco Zanoni
Coordinatore Culturale Istituto Cervi

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