«Da madre e moglie a donna giramondo in bicicletta: la storia di Annie Londonderry». Intervista a Marialice Tagliavini

È una storia vera quella a cui si ispira Annie, il monologo drammatico sulla vita di Annie Cohen Kopchovsky, in arte Annie Londonderry, interpretato da Marialice Tagliavini, quinto spettacolo in concorso al Festival. Giovane ebrea lettone di umili origini, Annie nel 1894, a soli ventitré anni, lasciò, dopo una scommessa, il marito ed i tre figli per fare il giro del mondo in bicicletta. Non solo fu la prima donna a compiere una simile impresa, ma fu anche l’inventrice dell’abbigliamento ciclistico femminile e la prima persona ad utilizzare gli sponsor come mezzo di sostentamento. Una storia simbolica, quella di Annie, che permise alla protagonista di diventare una delle icone delle Suffragette, il movimento femminista dell’epoca.

Annie si ispira alla storia della prima donna che ha compiuto da sola il giro del mondo in bicicletta. Chi era Annie?
La risposta sincera è che non lo sapremo mai: sicuramente Annie era una persona dotata di un’enorme linfa creativa. Ad ispirarci è stato Around the World On Two Wheels: Annie Londonderry’s Extraordinary Ride, il libro scritto da Peter Zheutlin (pronipote di Annie), di cui consiglio caldamente la lettura se si vuole esplorare davvero la psiche di questa giovane donna (nel libro sono contenute anche le pagine del suo diario di viaggio). Annie Cohen Kopchovsky, in arte Annie Londonderry, era una giovane ebrea lettone di umili origini che nel 1894 – a soli ventitré anni – lasciò in seguito ad una scommessa il marito ed i tre figli per fare il giro del mondo in bicicletta (partendo da Boston, la città in cui viveva con la sua famiglia). Annie Londonderry batté un record: essere stata la prima donna nella storia ad aver compiuto una simile impresa da sola. Inoltre, non fu solo l’inventrice dell’abbigliamento ciclistico femminile, ma fu anche la prima persona ad utilizzare gli sponsor come mezzo di sostentamento. Annie Londonderry fu scintillante come un circo: donna forte e dalla battuta tagliente, attraversò il mondo sulla sua bicicletta coperta di nastri e di ricordi dei suoi compagni di viaggio. Splendida venditrice di se stessa, Annie fu un’attrazione ambulante che arrivò ad affascinare milioni di persone ed a colpire il cuore di coloro che incrociavano il suo cammino o che assistevano alle sue numerose conferenze in giro per il mondo.

Uno spettacolo che parla di emancipazione e di libertà: cosa ha rappresentato la bicicletta per lei a quell’epoca?
Non è né uno spettacolo gradevole, né ispiratore, vedere donne agghindate in costumi pittoreschi che si affannano su strade polverose con gli occhi infossati e le guance rosse, i capelli sciolti e le labbra secche e riarse. Possiamo permettere che le nostre mogli, sorelle e fidanzate vadano in bicicletta per il gusto di farlo, ma lasciamo le corse ai mariti, fratelli e fidanzati: mettiamo fine alla cosa. (Dalla rivista Cycling life).
Utilizzare la bicicletta era, per una donna del XIX secolo, un atto politico legato al femminismo dell’epoca (che prese forma nel movimento delle Suffragette), tanto che la scrittrice Susan B. Anthony scriverà nel 1898: Nel momento in cui sale in sella, una donna sa che non può succederle niente di male mentre è sulla sua bicicletta, e se ne va come l’immagine della femminilità libera ed incondizionata. […] La bicicletta insegna anche a cambiare in modo pratico l’abbigliamento, dona alle donne aria fresca ed esercizio, ed aiuta a renderle uguali agli uomini nel lavoro e nel piacere. Ancora meglio, la bicicletta predica la necessità del suffragio femminile. […] Grazie alla bicicletta, può piantarsi un seme che crescerà nella richiesta di suffragio universale, unico modo in cui le donne potranno creare e controllare le proprie condizioni di vita nella società. Annie era una donna coraggiosa e pratica, ma non fu semplice per lei abbandonare l’abbigliamento vittoriano per arrivare ad indossare i calzoni tipici del ciclista maschio: passaggio però obbligatorio che divenne metafora del viaggio interiore della giovane donna, una donna alla ricerca dell’essenzialità, una donna che aveva bisogno di scrollarsi di dosso dei panni che non sentiva propri per essere finalmente libera.

Oltre alla bicicletta, in scena ci sono anche una macchina da cucire e un megafono: cosa rappresentano?
Gli elementi scenografici sono due elementi dotati di pedali (la macchina da cucire/casa e la bicicletta/mezzo di indipendenza) e cinque megafoni, simbolo del più importante mezzo di comunicazione dell’epoca: la stampa giornalistica. Annie ebbe un rapporto di amore e odio molto intenso con la stampa. Sfruttò la stampa e dalla stampa venne sfruttata, gettando le basi per il tipico rapporto di dipendenza presente anche al giorno d’oggi. Il triangolo Annie – Stampa – Pubblico fece di lei prima un’eroina ed in seguito una ciarlatana. L’attrice gioca fra i megafoni, animati da una voce che incarna lo scintillante mondo dello spettacolo. La voce viene dall’alto, là dove Annie vorrebbe arrivare e si relaziona ad Annie come farebbe con un fenomeno da baraccone. Annie accetta il gioco e trova un modo intelligente per trarre profitto da questa relazione, ballando un valzer (o una mazurka?) con il sensazionale e cercando nel mentre anche di soddisfare un pubblico assetato di notizie sempre più sorprendenti.

Durante il suo viaggio, Annie dovette mentire. Perché?
Annie non permise mai alla realtà di ostacolare la riuscita di una buona storia. (Peter Zheutlin). Lo spettacolo nasce dalla necessità di parlare di possibili forme di libertà: la bugia è una di queste. Le zone d’ombra dell’avventura di Annie sono quelle che ci hanno stimolato nella creazione: per essere libera fino in fondo, alla protagonista non bastò andarsene di casa, ma ebbe anche bisogno di scrollarsi di dosso i panni in cui era costretta. E come? Manipolando quella materia che è la parola. Annie mentì spesso durante il suo viaggio: assunse almeno una dozzina di identità fittizie, inventò di sana pianta avventure mai accadute da raccontare ai giornalisti, negò di essere povera, moglie e madre e, soprattutto, percorse numerosi tratti del suo viaggio in treno (anche quando avrebbe potuto non utilizzarlo). Durante il suo viaggio, si proclamò: studentessa di Harvard, medico tedesco, studentessa di legge, studentessa di medicina, ricca ereditiera, fondatrice di un giornale, giornalista che scriveva per 22 giornali, sposa di un nobile e donna francese di 30 anni che parlava sei lingue (in verità, parlava solo inglese e la sua lingua madre, il lettone). Durante la creazione ci siamo spesso chiesti se questo suo modellare la parola avesse ad un certo punto perso il suo aspetto ludico e fosse divenuto un mezzo che tagliava di netto il contatto con la realtà, con la verità. Tuttavia, elevando la bugia a forma d’arte Annie fu a suo modo una creatrice. Sia per necessità economica che per scrollarsi di dosso i sopracitati panni, ma anche perchè pensiamo avesse, come tutti, bisogno di essere amata. Amata da un pubblico che, anche quando percepì l’enormità delle sue menzogne, desiderò credere in Annie e lo fece. Non abbiamo forse ancora bisogno di eroi?

Da madre e moglie a ciclista giramondo. Come avviene in scena questa trasformazione?
Questa è stata sicuramente la sfida più grande: condensare in un’ora di spettacolo una trasformazione così radicale. La soluzione è semplice: non c’è mai stata una trasformazione, lei aveva già dentro di sé il germe della donna di spettacolo che è stata poi. Questo è stata Annie più che una ciclista: una donna di spettacolo. Nonostante tutto, che abbia fatto realmente il giro del mondo in bicicletta o no, Annie divenne un’atleta e, anche se all’inizio i progressi furono lenti e dolorosi, Annie dimostrò un talento naturale per lo sport che intraprendeva. Prima d’iniziare il suo viaggio, Annie era montata in sella solo due volte: come cambia il corpo di qualcuno durante un’impresa simile? Cosa comporta la trasformazione fisica da madre e moglie a giramondo? Che rapporto sviluppa una ciclista con il proprio mezzo di locomozione, mezzo che diventa quasi un prolungamento del proprio corpo? Che rapporto aveva Annie con la fatica fisica prolungata e con la vita di strada?  La trasformazione fisica di Annie è stato sicuramente uno dei temi principali durante la fase di ricerca: in linea con la metodologia della compagnia (pedagogia Jacques Lecoq) che prevede un grande lavoro di cura e ricerca sul movimento, ci siamo quindi avvalsi dell’aiuto di un coreografo che ha supportato il lavoro di scrittura fisica durante il periodo di prove.

Il Festival di Resistenza quest’anno compie vent’anni. Come può il teatro, in riferimento al periodo che stiamo vivendo, contribuire a disegnare un nuovo mondo?
È facile scrivere quanto (ora più che mai) sia importante fare teatro: le persone hanno ancora bisogno di una ritualità collettiva. È un bisogno ancestrale e forte è il dibattito in merito alla domanda: quanto durerà? Quanto ci metterà la società (ormai guidata da principi tutt’altro che collettivi) a perdere quest’esigenza? Questa è sicuramente una delle funzioni principali di questo magnifico strumento: dobbiamo però agire in fretta.

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