ANNIVERSARIO DELL’ARRESTO DEI FRATELLI CERVI > 25 novembre

Il 25 novembre ricorderemo dopo 72 anni l’arresto dei sette Fratelli Cervi, del padre, dei compagni di lotta, che avvenne per mano dei fascisti il 25 novembre 1943.

Fu un evento nodale e non solo per la famiglia Cervi ma per lo sviluppo della nascente Resistenza. All’arresto segui infatti la fucilazione dei Sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri un mese dopo, il 28 dicembre del ‘43.

L’arresto infatti mise in evidenza il lavoro di costruzione di una resistenza civile che i sette Fratelli con la famiglia andavano da tempo promuovendo a livello locale, presso i contadini, nelle campagne , e poi dopo l’8 settembre accogliendo soldati sbandati, renitenti alla leva, prigionieri di guerra di altre nazionalità fuggiti dai campi di prigionia.

Ricordare questa data non è dunque un mero esercizio di memoria, un tributo doveroso al sacrificio della famiglia Cervi, ma anche un modo per capire come nacque la Resistenza, e come tanti cittadini stessero prendendo coscienza della necessità d un impegno attivo, e non necessariamente armato.

La storia della famiglia Cervi rimane un simbolo e un punto di riferimento di questa presa di coscienza che il 25 novembre 2015 vogliamo ricordare con il Museo aperto dalle ore 10 alle ore 17.

Durante l’orario di apertura verranno proiettati video documentari sulla Famiglia Cervi.

Qui di seguito un passo tratto da “I miei Sette Figli” di Alcide Cervi, a cura di Renato Nicolai (Einaudi, 2013) con la narrazione del momento dell’arresto.

“(…) Ma nell’aria sentivano già la sciagura. Da casa i prigionieri partivano a gruppi. C’erano
rimasti due russi, un inglese, un sudafricano, un australiano,
Castellucci e Quarto Camurri. Ormai i fascisti erano imbestialiti
e volevano saldare il conto con noi che non avevamo mai ceduto
di un dito. Tutti lo sapevano e capivano che al fascismo si poteva
pure tener testa. La guerra gli andava male, e allora almeno
vincerla sui Cervi. Così si arriva al fatale 25 novembre.
Era notte, pioveva a dirotto, e noi dormivamo tutti. A un certo
punto ci svegliano i lamenti del bestiame e colpi di fuoco.
– Che è? – dico io, e scendo dal letto.
Nel corridoio c’è Aldo, e gli altri aprono le porte, ci mettiamo a
guardare dalle finestre. Sparano dai campi intorno alla casa, altro
non vediamo. Poi viene una voce forte dalla campagna:
– Cervi, arrendetevi!
Non diciamo parola e prendiamo subito le armi. Le donne
trascinano nelle stanze le cassette delle munizioni. Genoeffa stava
vicino alla porta della camera da letto, muta. La vedo come se fosse
adesso, pallida e con gli occhi accesi. Poi si scuote e si mette a
calmare i bambini. Intanto noi abbiamo infilato le pistole tra gli
scuri. Aldo ha un mitra e apre il fuoco. Anche gli stranieri sparano
con noi. Ci rispondono altri colpi e il fuoco dura qualche minuto.
Poi noi cominciamo a scarseggiare nei tiri finché ci guardiamo
tutti e ci parliamo nelle stanze, le munizioni sono finite. Aldo
guarda dalla finestra verso il fienile, vede un bagliore, e dice:
– brucia, non c’è più niente da fare.
Io dico: – non mi arrendo a quei cani, andiamo giù tutti quanti
e meglio morti che vivi.
Aldo mi ferma e dice: – no papà, che ci sono le donne e i
bambini. Meglio arrendersi.
Così scendiamo le scale, piano per l’ultima volta. Le donne si
aggrappano alle spalle degli uomini, qualcuno piange. Agostino
prende in braccio il suo bambino e lo bacia. Nell’ingresso, prima
di uscire nell’aia, Aldo ci riunisce e dice:
– Sentitemi bene. Quando ci interrogheranno, solo io e Ge-
lindo ci prenderemo la responsabilità. Gli altri non sanno niente,
è chiaro?
Poi apriamo la porta e usciamo nell’aia, io corro verso la stalla,
ma un fascista mi acchiappa e gli urlo: – vigliacchi, almeno le
bestie lasciate scampare.
Entrarono nell’aia due autocarri, poi ho saputo che erano
venuti in 50 uomini per prenderci. La casa bruciava, e ora si
vedevano i fascisti armati fino ai denti. Ci prendono villanamente,
ma noi diciamo che saliamo da soli sul furgone. E poi, gli ultimi
addii. I figli abbracciano le spose e dicono: – state tranquille, tutto
si metterà bene, vedrete, non è la prima volta che ci arrestano.
Irnes, che ha in braccio il bambino più piccolo, bacia Agostino,
e lui le dice: – quando torno deve saper camminare, eh?
Antenore bacia i suoi tre figli e si raccomanda: – Non lasciate
mai sola la mamma, e non fate arrabbiare la nonna. Papà torna
presto.
Gelindo abbraccia i suoi due bambini più volte. Lui sapeva
già che non sarebbe tornato, come forse lo sapeva Aldo, che però
salutò i suoi calmo e tranquillo.
Poi a Genoeffa tutti i figli le stavano intorno, e la baciano chi
sul viso, chi sui capelli, chi le bacia le mani, e dicono: – arrivederci
mamma, vedrete che torneremo presto, state tranquilla.
La madre li abbracciava tutti come poteva, e se li stringeva al
petto, e li carezzava sul capo, e piangeva e diceva: – meglio morire,
meglio morire.
Ma i fascisti non dànno tregua, ci spingono sul furgone, e
quando prendono me, Genoeffa dice: – anche tu?
– Anch’io certo – gli rispondo forte mentre mi allontanano.
– Così sai che ci sto io coi figli tuoi.
Genoeffa scoppia in singhiozzi, ché pensava mi rispar-
miassero. Prima che chiudano gli sportelli del furgone, gridiamo
ancora: – state tranquille, torneremo presto.
Ma i loro visi si vedono e non si vedono, secondo i lampi delle
fiamme. Ci portano via, mentre le donne e i bambini restano soli
nella casa che brucia.
Continua a piovere, così forse l’incendio finirà presto. Ma poi
ho risaputo che sì, l’incendio è finito presto, ma che i fascisti
appena andati via noi, si sono messi a rubare e a saccheggiare
tutto, mobili, macchine, copertoni, e poi bruciarono i libri, li
strapparono e se li misero sotto i piedi. Meglio l’incendio, allora,
ché almeno ci sarebbero rimaste le tracce.
Ma a un certo punto il furgone non va più avanti, per via
del fango. I fascisti bestemmiano e attaccano due buoi, non so
a chi l’hanno presi. Poi si arriva al bivio. Fanno scendere gli
stranieri e li mettono su un’altra macchina per portarli a Parma.
Camurri resta con noi, mentre Castellucci si mette a parlare
francese e dice che lui è un soldato di De Gaulle, e i fascisti ci
credono, così lo mettono insieme agli stranieri.
Non so quale sorte sia poi toccata ai prigionieri, ma fino ad
oggi non ho ricevuto mai lettere, solo l’inglese per ringraziamento
ci ha mandato un pacco di caramelle.”

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